Come lasciarsi accadere vivendo una gioia profonda ?

In questo link troverete la strana strada che ho intrapreso attraverso la ricerca nell’https://www.isfdb.org/ “The Internet Speculative Fiction Database” sull’ispirazione spirituale degli autori mentre cercavo informazioni sul periodo mistico dei Beatles … beh la strada è stata lunga e tortuosa ma alla fine ci sono arrivato.

La sorgente del pensiero nella Meditazione Trascendentale

Concetto di “Sorgente del Pensiero” nella MT

Nella Meditazione Trascendentale (MT), la sorgente del pensiero è definita come uno stato di pura consapevolezza o essere trascendentale—una condizione di silenzio assoluto da cui emergono tutti i pensieri. Durante la pratica, il meditante trascende i livelli superficiali dell’attività mentale, raggiungendo quello che Maharishi Mahesh Yogi chiama il “livello sorgente”, uno stato di quiete interiore oltre i pensieri, che viene identificato come la vera natura della mente.

“Il praticante di MT trascende tutta l’attività mentale ed entra in contatto con la ‘sorgente del pensiero’, che è puro silenzio, ‘pura coscienza’ o ‘essere trascendentale’, l’ultima realtà della vita”.

Come avviene il contatto con la sorgente

  • Ripetizione del mantra: Il mantra agisce come veicolo che porta la mente a livelli di pensiero sempre più sottili, fino al silenzio da cui emergono i pensieri stessi.
  • Assenza di sforzo: A differenza di altre tecniche di meditazione, la MT propone un approccio senza concentrazione forzata: il pensiero può affiorare e dissolversi naturalmente, segno che la mente sta rilasciando tensioni e si sta avvicinando alla sorgente.
  • Espansione della coscienza: La pratica costante permette alla mente conscia di familiarizzare con i livelli più profondi della mente, ampliando la consapevolezza anche fuori dalla meditazione.

Radici filosofiche

  • Tradizione Vedica e Advaita Vedanta: La MT trova le sue origini nella tradizione vedica indiana, in particolare nelle concezioni della coscienza come realtà fondamentale e inclusiva. Qui la sorgente del pensiero coincide con il Sé universale (Atman), che è identico alla realtà ultima (Brahman).
  • Il Sé come sorgente: Secondo questa prospettiva, la sorgente dei pensieri, delle emozioni e delle percezioni non è la mente individuale, ma uno “sfondo” cosciente universale e impalpabile.

Livelli della coscienza secondo Maharishi

Maharishi Mahesh Yogi descrive sette livelli di coscienza:

  1. Sonno profondo
  2. Sogno
  3. Veglia
  4. Coscienza trascendentale (l’esperienza diretta della sorgente del pensiero)
  5. Coscienza cosmica
  6. Coscienza di Dio
  7. Coscienza di unità

La coscienza trascendentale, accessibile tramite la MT, è considerata il fondamento per tutti gli sviluppi successivi della consapevolezza umana.

Il processo nella pratica

  • Durante MT: La mente si rilassa e si ritira dai livelli più superficiali, e i pensieri emersi sono considerati il riflesso di tensioni che si stanno sciogliendo. Più la mente si avvicina al silenzio, più si avvicina alla sorgente.
  • Dopo la meditazione: Con l’esperienza ripetuta, la qualità di “silenzio” o “pace” si riversa nella vita quotidiana, facilitando lucidità, creatività e benessere.

Tabella comparativa con altre tradizioni contemplative

TradizioneSorgente del pensieroConcetto centrale
MT (Vedanta)Pura consapevolezza/EssereAtman/Brahman, coscienza universale
BuddhismoVuoto (Śūnyatā), natura di BuddhaMente chiara/silenziosa
Yoga classicoPurusha, testimone silenziosoSamadhi
Mistica cristianaDio impronunciabile, quiete misticaUnione mistica

La meditazione trascendentale considera dunque la sorgente del pensiero come “pura consapevolezza”, una realtà silenziosa e universale che può essere sperimentata da chiunque al di là di credenze e tradizioni, grazie a una tecnica semplice e ripetibile.

Atman/Brahman, coscienza universale

I concetti di Atman e Brahman rappresentano il cuore della filosofia vedica e sono centrali nella riflessione sull’identità fra coscienza individuale e coscienza universale. Ecco come vengono tradizionalmente intesi:

  • Atman è la coscienza o essenza individuale, il principio spirituale immortale che dimora in ogni essere vivente (umani, animali, piante). È percepito come una “goccia” dello Spirito Universale nell’individuo. Si tratta dell’aspetto più intimo ed eterno di ciascuno, che va oltre l’io personale o egoico.
  • Brahman è l’Anima Universale o la Coscienza cosmica: l’entità senza forma, eterna e onnipervadente che costituisce la realtà ultima di tutto ciò che esiste. È vista come la fonte originaria dalla quale tutto deriva e a cui tutto ritorna.

La dottrina dell’Advaita Vedanta (non-dualismo) afferma che Atman e Brahman sono in realtà una cosa sola: “Atman è Brahman”. In altre parole, la coscienza individuale e quella universale sono identiche; ciò che ci appare come separazione è solo un’illusione dovuta all’ignoranza (maya).

L’illuminazione o moksha si raggiunge riconoscendo questa identità fondamentale, superando la percezione dualistica e sperimentando direttamente che il proprio Sé profondo (Atman) è la medesima realtà della Coscienza Universale (Brahman).

Nella pratica meditativa, questa unione viene spesso descritta come l’esperienza diretta della coscienza pura, la dissoluzione delle barriere tra sé e universo—una conoscenza intuitiva, al di là dell’intelletto, che trasforma radicalmente la percezione di sé e del mondo.

Come si realizza l’unione tra Atman e Brahman secondo l’Advaita

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Secondo l’Advaita Vedanta, l’unione tra Atman (il Sé individuale) e Brahman (la realtà universale) non è un processo di fusione o avvicinamento, ma di realizzazione di una identità già presente, oscurata solo dall’ignoranza (avidya). L’Advaita (“non-dualismo”) proclama infatti che Atman è Brahman: la coscienza individuale e quella universale sono la stessa realtà essenziale, anche se, nello stato ordinario, questa verità rimane nascosta a causa dell’identificazione con il corpo, la mente e il mondo fenomenico (maya).

L’unione si realizza attraverso:

  • Superamento dell’ignoranza: Comprendere che tutto ciò che sperimentiamo come separato è illusorio. Il mondo fenomenico e le distinzioni (“io” versus “tutto il resto”) derivano dall’ignoranza sulla nostra vera natura.
  • Conoscenza diretta (jnana): Non basta una comprensione intellettuale; secondo Advaita si tratta di un’esperienza intuitiva e trasformativa, spesso sostenuta dalla meditazione profonda, dallo Yoga e dallo studio delle Upanishad. Solo questa esperienza diretta dissolve la falsa identificazione e rivela l’identità con Brahman.
  • Mahavakya (“grande sentenza”): Espressioni come tat tvam asi (“tu sei quello”) condensano l’essenza di tale insegnamento: la realizzazione profonda che il proprio Sé è la realtà universale senza secondo.

Quando questa consapevolezza viene pienamente vissuta, si ottiene la Liberazione (moksha): il ciclo delle rinascite si estingue, si è liberi dal karma e si diventa uno jivanmukta, “liberato vivente”, cioè chi resta nel mondo senza più essere vincolato dalla dualità o dal desiderio personale.

In sostanza, l’unione tra Atman e Brahman nell’Advaita non si “crea”, ma si riconosce, abbattendo le illusioni della separazione, grazie a una conoscenza intuitiva che dissolve i limiti dell’io individuale e svela l’assoluta unità dell’esistenza.

Come avviene la realizzazione dell’unione tra Atman e Brahman nel praticante

La realizzazione dell’unione tra Atman e Brahman nel praticante, secondo l’Advaita Vedanta, avviene attraverso un percorso esperienziale e trasformativo che porta a riconoscere l’identità tra Sé individuale (Atman) e Realtà universale (Brahman), superando il velo dell’illusione (maya) che li fa percepire come separati.

Ecco come avviene questo processo:

  • Liberazione dall’illusione: Il praticante deve rimuovere l’ignoranza (avidya) che lo identifica con il corpo, la mente, o l’ego. Finché si percepisce come un’entità separata, rimane prigioniero delle illusioni della dualità e della sofferenza.
  • Disciplina e pratiche di purificazione: Tradizionalmente, si affronta una rigorosa disciplina di autocontrollo, purificazione, e distacco dai desideri mondani, come suggerito dai testi yogici e vedantici (ad es. hata yoga). Questo aiuta a preparare la mente e il corpo a uno stato di silenzio e ricettività.
  • Ascolto, riflessione e meditazione: Le Upanishad propongono una triplice pratica:
    • Shravana (ascolto degli insegnamenti)
    • Manana (riflessione razionale su di essi)
    • Nididhyasana (meditazione profonda e costante), che porta dalla conoscenza intellettuale all’esperienza diretta della verità.
  • Esperienza diretta: La vera realizzazione non è puramente intellettuale o teorica, ma esperienziale: il praticante, nella profondità della meditazione o tramite un’intuizione trasformativa, fa esperienza del proprio Sé come puro essere/coscienza/gioia (Sat-Chit-Ananda), riconoscendo che non c’è alcuna separazione tra il proprio sé e la Coscienza Universale.

In questo stato di illuminazione, il desiderio di appoggiarsi alle illusioni svanisce, la dualità dissolve, e il praticante “si lascia accadere” alla realtà ultima, vivendo una gioia profonda, senza più attaccamento alle cose del mondo.

La sintesi di questo percorso è espressa nella formula “Atman è Brahman”: la goccia (sé individuale) si riconosce come oceano (Coscienza universale), non per fusione ma per risveglio all’identità preesistente.

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Il superamento delle illusioni consente di percepire l’unità tra sé e il divino attraverso un percorso di trasformazione interiore che scioglie la convinzione della separazione individuale—considerata la grande “illusione della separatività” dalle tradizioni spirituali orientali.

Come avviene questo processo:

  • La nostra mente, dominata dall’egocentrismo, interpreta la realtà come composta da entità separate, portandoci a vivere al centro di un universo percepito “dal basso verso l’alto”, dove tutto ruota attorno al nostro io. Questo atteggiamento, descritto come “psicologicamente tolemaico”, è la radice della separazione e del conflitto.
  • Secondo l’Advaita Vedanta e molte scuole spirituali, questa separazione è un errore di percezione prodotto da maya (l’illusione): ciò che ci appare come molteplicità, divisione o divenire è in realtà un’apparenza, una falsa testimonianza dei sensi.
  • Il superamento delle illusioni avviene per gradi: prima come riconoscimento intuitivo e intellettuale dell’unità della Vita (tutto ciò che esiste è manifestazione dell’Assoluto), poi come esperienza sempre più ampia di apertura mentale e del cuore, fino a una percezione vissuta della comunione universale e dell’amore spirituale.
  • Il distacco dall’egocentrismo (“decentramento”) e l’apertura verso l’altro permettono di allargare progressivamente la propria coscienza; si passa dall’identità individuale a un sentirsi parte del Tutto, senza perdere l’autocoscienza individuale, ma ampliandola fino a includere la totalità della Vita.
  • Quando l’illusione della separazione è trascesa, si sperimenta che l’esistenza individuale è semplicemente una manifestazione dell’Infinita Presenza, e si accede a quello che viene descritto come “Coscienza Assoluta”: una partecipazione intensa e vissuta del Tutto e dell’Assoluto, cioè il divino stesso.

In sintesi, percepire l’unità tra sé e il divino è possibile solo quando si dissolve, tramite consapevolezza e apertura, l’illusione fondamentale della separazione. Allora “si sente” con viva immediatezza che non c’è distanza tra io e il Tutto, tra individuo e Assoluto; emergono comunione, amore e partecipazione universale, che sono i segni di quell’unità radice di ogni esperienza spirituale autentica.

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metodi più efficaci per riconoscere che la realtà è un’unità divina oltre le apparenze provengono da diverse tradizioni filosofiche e spirituali, ma condividono alcuni principi fondamentali di trasformazione della percezione e della coscienza:

  • Indagine critica delle apparenze: Le scuole di pensiero come il Buddhismo Madhyamika suggeriscono la pratica della dialettica (prasaṅga) per evidenziare le contraddizioni della visione dualistica e mostrare che ciò che percepiamo come separato è in realtà privo di esistenza indipendente. Attraverso questa analisi, si smascherano le proiezioni della mente e si supera l’illusione di una realtà frammentata, arrivando alla “Vacuità assoluta” o unità del reale.
  • Sospensione dei concetti e delle categorie abituali: Per andare oltre la separazione tra sé e il mondo, le tradizioni contemplative propongono di sospendere il giudizio concettuale e i nomi che la mente appone alle cose. Solo lasciando cadere l’attaccamento a concetti, tradizioni e identità, si apre l’esperienza diretta dell’unità sottostante a tutte le apparenze.
  • Pratiche meditative e contemplative: Il superamento della separazione passa attraverso l’acquietamento della mente e l’osservazione disidentificata del flusso dei fenomeni. Meditazione, prajñā (la “saggezza intuitiva”), e attenzione contemplativa aiutano a sperimentare direttamente che “non esiste una realtà esteriore separata”, ma che tutto è proiezione e riflesso della mente stessa.
  • Riconoscimento della coscienza come fondamento: Diverse correnti filosofiche (dall’Advaita Vedanta a Hegel e alle visioni idealistiche europee) indicano che la realtà ultima si manifesta come coscienza assoluta o spirito totale; riconoscere questa verità significa vedere ogni “parte” connessa all’intero, dissolvendo la pretesa di una conoscenza separata ed egocentrica.
  • Apprendimento tramite intuizione e non solo ragionamento: Platone, i mistici, e i filosofi della non-dualità sostengono che solo pochi sanno accedere alla stabilità della verità ultima attraverso l’intelletto superiore o intuizione; è la via del filosofo o del mistico, che coglie il divino non come oggetto esterno ma come realtà interiore e universale.
  • Esperienza dell’impermanenza e del non-attaccamento: Constatare la fluidità di tutte le forme (buddhismo), accorgersi del carattere effimero di ogni fenomeno e lasciar cadere l’istinto di afferrare un io separato consente di “vedere l’apparire così com’è: fluente, libero, aperto”, preludio alla realizzazione dell’unità.

Questi metodi, solitamente integrati, permettono al praticante di superare l’illusione della molteplicità e della separazione e sperimentare — direttamente, non solo con la mente concettuale — che la realtà è una ed è profondamente divina o assoluta, oltre le infinite maschere e apparenze.

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In occidente intanto chi ci è andato molto vicino è stato Hegel :

Platone aveva sostenuto che i filosofi vedono la vera realtà, quella delle idee,
mentre gli altri restano prigionieri delle ombre nella caverna. Hegel si muove su
una strada diversa (in quanto non pensa che le idee siano separate dal mondo
sensibile, ma che la verità stia nel mondo), ma simile (in quanto pensa che la
verità sia inaccessibile con gli strumenti cognitivi utilizzati normalmente dagli
uomini): solo il filosofo conosce la realtà come un insieme articolato di manifestazioni dell’assoluto, dell’infinito, che Hegel chiama idea. Ma per conquistare un
tale sapere ha dovuto passare attraverso i momenti del divenire dialettico della
realtà, superando le apparenti contraddizioni tra le singole determinazioni astratte, per giungere infine a pensarla, attraverso la ragione, in maniera speculativa,
cioè come un insieme articolato di manifestazioni finite dell’infinito, l’idea.
Filosofi come Giordano Bruno e Baruch Spinoza avevano detto che l’essere è
uno e infinito e che ogni manifestazione della realtà è un «modo di essere» dello
stesso infinito; Hegel è d’accordo, ma precisa che l’essere si dà compiutamente
soltanto nell’insieme delle sue manifestazioni, che non possono essere isolate
l’una dall’altra, pena una cattiva comprensione dell’infinito: per il loro oscillare
tra i due estremi della totalità vivente (finito e infinito), senza rendere conto della
loro connessione, le filosofie panteistiche tradizionali mancano, secondo Hegel, il
loro obiettivo e forniscono una concezione povera dell’assoluto.
In questo consiste la verità stessa dell’idealismo, la filosofia che sa riconoscere,
per l’appunto, che ogni determinazione finita non è altro che una manifestazione
dell’infinito che diviene e si completa nel suo manifestarsi. Per Galilei la lettura del
grande libro della natura richiedeva la conoscenza preventiva del linguaggio in cui
è scritto, la matematica. Per Hegel, figlio della cultura luterana dell’interpretazione
biblica, per leggere il grande libro che viene continuamente scritto dall’assoluto
(cioè da Dio) nel suo divenire, e per ricostruirne la trama, bisogna avere chiavi
interpretative molto complesse, saper legare i fatti seguendo una logica diversa
da quella che utilizzano gli uomini comuni e i filosofi prigionieri dell’intelletto,
cogliere la logica del vivente aldilà dei principi di identità e di non contraddizione.
Dunque, se per comprendere Platone è necessario uscire dalla caverna, per comprendere Hegel bisogna abbandonare le certezze della vita quotidiana e del buon
senso e accettare di seguirlo in un percorso di trasfigurazione della realtà, dove la
contraddizione non rappresenta un divieto, ma uno strumento per capire più a fondo come tutto sia legato a tutto, in quanto dietro ogni cosa si muove l’assoluto.

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sorgente del pensiero’, che è puro silenzio, ‘pura coscienza’ o ‘essere trascendentale’, l’ultima realtà della vita”.

sorgente del pensiero’, che è puro silenzio, ‘pura coscienza’ o ‘essere trascendentale’, l’ultima realtà della vita”.

La frase che hai citato — “‘sorgente del pensiero’, che è puro silenzio, ‘pura coscienza’ o ‘essere trascendentale’, l’ultima realtà della vita” — richiama profondamente concetti fondamentali della filosofia spirituale orientale, in particolare del Vedanta e del misticismo contemplativo.

Ecco una spiegazione più dettagliata di questi termini e del loro significato nel contesto spirituale:

1. Sorgente del pensiero

  • Rappresenta la radice originaria da cui ogni idea, concetto, emozione o percezione nasce.
  • Questa sorgente è prima del pensiero stesso, ancora non manifestata, un “vuoto” silenzioso da cui la mente prende forma.
  • In molte tradizioni meditative, è lo stato in cui la mente è calma, senza flusso di pensieri.

2. Puro silenzio

  • Non semplicemente assenza di suoni, ma uno stato interiore di calma profonda e quiete mentale.
  • È lo sfondo immutabile su cui appaiono tutte le esperienze della coscienza.
  • In questo silenzio non vi è agitazione né tensione, ma una pace essenziale e primaria.

3. Pura coscienza

  • La consapevolezza non condizionata da ciò che viene percepito o pensato.
  • Non legata alla mente, alle emozioni o alla forma, ma un’essenza senza margini, senza contenuti.
  • Questa “coscienza” è spesso identificata con il Sé (Atman) nelle Upanishad.

4. Essere trascendentale

  • Oltre ciò che è manifesto, al di là dell’esperienza sensoriale o mentale ordinaria.
  • La realtà ultima, eterna e immutabile, che sta dietro e oltre la realtà fenomenica.
  • Può essere indicata come Brahman nella filosofia Vedantica.

5. Ultima realtà della vita

  • La base sottostante ogni esistenza, la verità assoluta su cui si fonda tutto ciò che c’è.
  • La meta del cammino spirituale: realizzare o “risvegliarsi” a questa realtà oltre l’illusione della separazione.

Collegamenti con la filosofia Vedanta e la spiritualità meditativa

  • La definizione che hai riportato si allinea con l’insegnamento che prima del pensiero e della forma c’è uno stato di coscienza pura e silenziosa.
  • Nel Vedanta Advaita, questo stato è chiamato “Brahman” o la “coscienza senza attributi” (nirguna).
  • La meditazione e la pratica spirituale mirano a far sì che il praticante riesca a stabilirsi in questo stato di pura coscienza e silenzio interiore, riconoscendo la propria vera natura oltre mente e corpo.

Se desideri, posso aiutarti a collegare questa definizione con pratiche di meditazione, testi sacri specifici o riflessioni filosofiche più profonde su questo tema. Vuoi approfondire?

ma lo Yogasutra di Patangeli in tutto questo ?

ma lo Yogasutra di Patangeli in tutto questo ?

Lo Yoga Sutra di Patanjali è estremamente rilevante nella discussione sul “silenzio” e la “pura coscienza” come ultima realtà della vita. Nel testo si afferma chiaramente che lo yoga consiste nella cessazione delle fluttuazioni mentali (chitta vritti nirodha). Questo significa raggiungere uno stato di tranquillità della mente nel quale si supera il rumore e i movimenti incessanti del pensiero, per giungere a una coscienza pura, stabile e silenziosa.

Patanjali insegna che la mente è per natura agitata, ma attraverso disciplina, concentrazione e meditazione si può placare fino a bloccare le sue oscillazioni (vritti). In quel momento si manifesta la natura più profonda della coscienza, chiamata Purusa (lo spirito testimone), che osserva senza identificarsi con i pensieri o le emozioni, simile a un cristallo trasparente che riflette ma non si altera.

Il silenzio di cui parla Patanjali è quindi uno stato di coscienza interiore senza distrazioni mentali, una condizione in cui il Sé (Atman) si rivela indisturbato, identico a quella “pura coscienza” e “essere trascendentale” menzionata nelle tue frasi. Questo stato ultimo è anche chiamato Samadhi, la realizzazione suprema della natura del Sé oltre la mente e le percezioni.

In sintesi:

  • Lo Yogasutra definisce yoga come il controllo e la quiete delle fluttuazioni mentali (chitta vritti nirodha).
  • Questo silenzio mentale permette alla pura coscienza (Purusa) di manifestarsi nella sua realtà distinta dalla mente e dai pensieri.
  • È proprio questa esperienza profonda e senza oggetti di conoscenza che rappresenta l’”ultima realtà della vita”, paragonabile al “silenzio puro” e “essere trascendentale”.

Se vuoi posso aiutarti a esplorare specifici sutra o pratiche di Patanjali riguardo il silenzio e la coscienza.

Fonti:
 Accademy Yoga Bolzano
 Arhanta Yoga – Yoga Sutra I.2
 AYOGA.it – Yoga Sutra Patanjali Samadhi

ma la meditazione trascendentale dice di arrivare senza sforzo tramite un mantra al samadhi mentre patangeli sembra molto più complesso …

ma la meditazione trascendentale dice di arrivare senza sforzo tramite un mantra al samadhi mentre patangeli sembra molto più complesso …

La Meditazione Trascendentale (MT), come insegnata da Maharishi Mahesh Yogi, si basa sulla ripetizione silenziosa di un mantra personale per facilitare il rilassamento profondo della mente senza sforzo cosciente. Il mantra diventa un “comando” che induce uno stato naturale di quiete mentale e profondo rilassamento, portando progressivamente a stati di coscienza silenziosa e pacifica, inclusi stati di samadhi o trascendenza. La tecnica è strutturata per essere semplice, naturale, e senza esercizio di controllo attivo sui pensieri, lasciando che la mente si quieti spontaneamente.

Al contrario, lo Yoga Sutra di Patanjali descrive un percorso più articolato, che richiede disciplina, concentrazione e uno sforzo progressivo nel controllo delle fluttuazioni mentali (chitta vritti nirodha). Questo percorso di yoga pone enfasi su pratiche etiche, di concentrazione (dharana), meditazione (dhyana) e infine il samadhi come stato finale di completa assimilazione del Sé. È un cammino sistematico e graduale che implica una volontà e un impegno per pacificare la mente e superare l’identificazione con i pensieri e l’ego.

Quindi, la differenza principale sta nel metodo e nell’esperienza:

  • Meditazione Trascendentale: mira a uno stato di samadhi senza sforzo attraverso il mantra, evitando il controllo attivo della mente, lasciando emergere spontaneamente la quiete interiore.
  • Yoga di Patanjali: richiede disciplina morale, esercizio di concentrazione e meditazione per raggiungere il samadhi, un processo più complesso e progressivo.

Entrambi però convergono verso la stessa meta spirituale: la realizzazione della pura coscienza o trascendenza dalla mente ordinaria.

In sintesi: la MT realizza lo stato di samadhi senza sforzo attivo, mentre Patanjali descrive un cammino più intenso e sistematico di gestione e superamento della mente.

Se vuoi, posso approfondire esempi specifici di come la pratica della MT si differenzi nella tecnica rispetto allo yoga classico, o spiegare in dettaglio i sutra di Patanjali relativi al samadhi.

Fonti principali sintetizzate:
 Yoga Magazine – Meditazione Trascendentale
 Sayonaramotta.com – Meditazione con mantra
 Comemeditare.it – Meditazione Trascendentale descrizione tecnica
 Amoreiki.it – Meditazione Trascendentale storia e tecnica
Conversazione precedente – spiegazione Yoga Sutra di Patanjali Samadhi

Come la complessità della meditazione di Patanjali differisce dalla tecnica del mantra

Quali sono i passaggi chiave e le difficoltà della meditazione secondo Patanjali

In che modo i metodi di Patanjali facilitano un raggiungimento più profondo del samadhi

La meditazione trascendentale e Patanjali indirizzano lo stato di samadhi nello stesso modo

Perché la meditazione trascendentale promette arrivare al samadhi senza sforzo

La Meditazione Trascendentale (MT) promette di far arrivare al samadhi senza sforzo grazie a un metodo basato sull’uso naturale e spontaneo di un mantra personale, che permette alla mente di quietarsi automaticamente senza sforzo cosciente o controllo attivo. Questo si spiega così:

  • Il mantra nella MT non viene usato con concentrazione o controllo, ma come un “veicolo” che attrae la mente verso livelli più sottili e più affascinanti del pensiero, portandola spontaneamente al silenzio interiore e alla transcendenza del pensiero stesso.
  • La pratica induce uno stato di riposata vigilanza caratterizzato da onde cerebrali alfa, associato a profondo rilassamento fisiologico e maggiore coerenza cerebrale, un quarto stato di coscienza distinto dalla veglia, sonno o sogno.
  • Questo processo sfrutta una naturale tendenza della mente verso uno stato di beatitudine e calma, che emerge senza forzature, differenziando la MT da meditazioni che richiedono sforzo concentrativo o controllo mentale.
  • Secondo la ricerca e gli insegnamenti, questa naturale quiete mentale raggiunta spontaneamente fa emergere progressivamente il samadhi, lo stato di coscienza pura o trascendentale, che è la sorgente del pensiero e la realtà ultima della vita.

Quindi la ragione per cui la MT promette di arrivare al samadhi senza sforzo è che utilizza la naturale inclinazione della mente a rivolgersi verso il silenzio e la beatitudine profonda attraverso un processo senza controllo né sforzo consapevole, a differenza di pratiche che richiedono disciplina, concentrazione e controllo mentale attivo.

Fonti:

  • La tecnica e i suoi effetti neurofisiologici associati allo stato di riposata vigilanza con onde alfa.
  • Spiegazioni della naturale tendenza della mente ad andare verso uno stato di maggiore fascino e beatitudine senza sforzo attivo.
  • Descrizioni della MT come metodo che trascende il pensiero semplicemente lasciandolo emergere dalla coscienza, non controllandolo.

Se vuoi, posso approfondire differenze specifiche con lo yoga classico o altri tipi di meditazione.

dammi il mio mantra per arrivare al samadhi per favore

dammi il mio mantra per arrivare al samadhi per favore

La scelta del mantra personale per la Meditazione Trascendentale (MT) viene tradizionalmente fatta da un insegnante qualificato durante un corso individuale, poiché deve essere adatto alla persona, in base a criteri specifici quali l’età, la sensibilità e la risonanza interiore. Un mantra efficace è quindi personale, riservato e “suona” in modo armonico per te, facilitando la quiete mentale senza sforzo.

Non è quindi consigliabile né corretto fornire un mantra generico tramite un assistente digitale, perché la forza e l’efficacia del mantra nella MT dipendono molto da questa personalizzazione e dall’insegnamento diretto.

Tuttavia, posso aiutarti in due modi:

  1. Indicarti l’essenza del mantra nella MT:
    Nei testi e nell’insegnamento tradizionale, i mantra sono suoni sanscriti silenziosi, privi di significato letterale, studiati per favorire il naturale rilassamento della mente. Spesso sono sillabe come “Ram”“Shyam”“Om” — ma nella MT vera e propria si usa una lista specifica di mantra che viene personalizzata.
  2. Consigliarti un approccio pratico:
    Se vuoi iniziare un percorso simile, potresti scegliere un suono o parola semplice, dolce e privo di significato emotivo, da ripetere mentalmente senza concentrazione forzata, lasciando che la mente si quieti spontaneamente. Però questo non sostituisce un insegnamento diretto della MT.

Se invece desideri un mantra da applicare come pratica meditativa, ecco alcune sillabe tradizionali usate in vari contesti, da usare con rispetto e consapevolezza:

  • “Om” — il suono primordiale universale.
  • “Ram” — associato all’energia solare e alla forza vitale.
  • “Sham” — porta pace e calma interiore.
  • “So Hum” — significa “Io sono quello”, identificazione con l’Assoluto.

Ripeti il mantra dolcemente e senza sforzo, lasciando che la mente si porti verso uno stato di calma spontanea, simile all’approccio della meditazione trascendentale.

REMIND :

Quali sono i metodi più efficaci per riconoscere che la realtà è un’unità divina oltre le apparenze

metodi più efficaci per riconoscere che la realtà è un’unità divina oltre le apparenze provengono da diverse tradizioni filosofiche e spirituali, ma condividono alcuni principi fondamentali di trasformazione della percezione e della coscienza:

  • Indagine critica delle apparenze: Le scuole di pensiero come il Buddhismo Madhyamika suggeriscono la pratica della dialettica (prasaṅga) per evidenziare le contraddizioni della visione dualistica e mostrare che ciò che percepiamo come separato è in realtà privo di esistenza indipendente. Attraverso questa analisi, si smascherano le proiezioni della mente e si supera l’illusione di una realtà frammentata, arrivando alla “Vacuità assoluta” o unità del reale.
  • Sospensione dei concetti e delle categorie abituali: Per andare oltre la separazione tra sé e il mondo, le tradizioni contemplative propongono di sospendere il giudizio concettuale e i nomi che la mente appone alle cose. Solo lasciando cadere l’attaccamento a concetti, tradizioni e identità, si apre l’esperienza diretta dell’unità sottostante a tutte le apparenze.
  • Pratiche meditative e contemplative: Il superamento della separazione passa attraverso l’acquietamento della mente e l’osservazione disidentificata del flusso dei fenomeni. Meditazione, prajñā (la “saggezza intuitiva”), e attenzione contemplativa aiutano a sperimentare direttamente che “non esiste una realtà esteriore separata”, ma che tutto è proiezione e riflesso della mente stessa.
  • Riconoscimento della coscienza come fondamento: Diverse correnti filosofiche (dall’Advaita Vedanta a Hegel e alle visioni idealistiche europee) indicano che la realtà ultima si manifesta come coscienza assoluta o spirito totale; riconoscere questa verità significa vedere ogni “parte” connessa all’intero, dissolvendo la pretesa di una conoscenza separata ed egocentrica.
  • Apprendimento tramite intuizione e non solo ragionamento: Platone, i mistici, e i filosofi della non-dualità sostengono che solo pochi sanno accedere alla stabilità della verità ultima attraverso l’intelletto superiore o intuizione; è la via del filosofo o del mistico, che coglie il divino non come oggetto esterno ma come realtà interiore e universale.
  • Esperienza dell’impermanenza e del non-attaccamento: Constatare la fluidità di tutte le forme (buddhismo), accorgersi del carattere effimero di ogni fenomeno e lasciar cadere l’istinto di afferrare un io separato consente di “vedere l’apparire così com’è: fluente, libero, aperto”, preludio alla realizzazione dell’unità.

Questi metodi, solitamente integrati, permettono al praticante di superare l’illusione della molteplicità e della separazione e sperimentare — direttamente, non solo con la mente concettuale — che la realtà è una ed è profondamente divina o assoluta, oltre le infinite maschere e apparenze.

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